"Chiunque rimira la sontuosa magnificenza di questa ampia e ben distribuita fabbrica con più gli annessi della medesima, non può fare a meno di non rimanere sorpreso, mentre è comune opinione che, qualora si eccettui la Certosa di Pavia, questa è la più considerevole d'Italia ...". Chi scrive è Francesco Fontani che inquadra la Certosa di Pisa nel "Viaggio pittorico della Toscana", del 1827, quando il monastero, dopo la soppressione napoleonica, era stato nuovamente occupato dalla comunità religiosa. L'immagine di sontuosità e di magnificenza che "sorprende" il Fontani - e ancora Quatremère de Quincy che annovera la Certosa di Pisa tra le “principali” d'Italia - è il risultato di una serie di lavori di ampliamento e di rifigurazione del complesso, terminati nell'ultimo decennio del XVIII secolo dopo una lunga vicenda costruttiva.

La fondazione
La costruzione della Certosa fu autorizzata con atto del 30.5.1366 dall'arcivescovo di Pisa Francesco Moricotti. Il luogo scelto fu la valle di Calci, “in pisano circuito”. Assai distante dalla città e “a conversatione saeculorum”, rappresentava il deserto ideale per la solitudine dei padri. La suggestiva formula topografica che definisce il luogo "olim dicto valle Buia" trasforma lo stato depressivo del territorio in uno scenario festoso, santificandone la metamorfosi in "Vallis Gratiosa". A determinare la costruzione del monastero fu il sacerdote Nino di Puccetto che impegnò i beni ereditati da Pietro di Mirante della Vergine, ricco mercante pisano, nell'adempìere “defuncti voluntatem”. L'inizio ufficiale dei lavori lo dette con religioso cerimoniale lo stesso vescovo Moricotti, benedicendo la prima pietra il 30 maggio 1367 alla presenza del fondatore, dei priori delle certose di Lucca e di Maggiano, del clero e della popolazione. Due monaci e un fratello laico formarono la famiglia certosina che dal 1370 al 1380 ebbe come primo priore Giovanni Upezzinghi; ma già nel 1386 la comunità si era ampliata e constava di otto padri e quattro fratelli. I lavori procedettero con una certa continuità grazie ai ripetuti lasciti dei benefattori fino alla formazione di un primo nucleo monastico che, seppure di dimensioni modeste, possedeva le qualità imprescindibili per la vita della comunità certosina e cioè la chiesa con la sacrestia, le cappelle e il capitolo, il chiostro con le celle dei padri e i locali esterni all'area claustrale vera e propria con gli edifici rustici e le abitazioni dei fratelli conversi.

La crescita modulare
La costruzione del complesso procede secondo l'addizione progressiva di nuclei unitari quali componenti funzionali di un organismo stabilito in aderenza al postulato della Regola. Le “Memorie” del monastero fanno risalire al 1370 la costruzione del recinto di clausura - che lo stesso vescovo di Pisa fece erigere a sue spese -, destinato ad accogliere le celle via via finanziate da lasciti e donazioni diverse. La lapide marmorea posta nell'abitazione priorale attesta che al 1375 era stata completata la cella “con portico anteriore”. Questa struttura, funzionalmente autosufficiente, si sarebbe collegata con le altre unità e con le singole porzioni di loggiato. È importante sottolineare, quale aspetto peculiare della costruzione, il sistema aggregativo di crescita per sommatoria di elementi modulari e la strettissima relazione funzionale-simbolica dello spazio claustrale, quasi una sublimazione di solitudini individue convergenti a un centro ideale di comunione. Per questo basti seguire la vicenda puntualmente ragguagliata dalle fonti e dalle memorie incise nei frammenti lapidei sparsi in ricordo dei benefattori, come l'iscrizione in data 1375 posta nella loggetta interna della cella, costruita sul lato opposto di quella priorale e il ricordo della “terza cella”, edificata nel 1376 per volontà di Pietro d'Albizo “legum doctor” dei Visconti di Vicopisano. La collocazione intorno al 1380 di una fontana convalida significativamente la conclusione del chiostro grande, sublimando il carattere simbolico dell’organismo centrico. Contestualmente si procede alla definizione sia delle strutture cenobitiche (costruzione della prima cappella al lato della sacrestia nel 1376, offerta dalla famiglia Gambacorti, del refettorio nel 1378, della cappella del Capitolo nel 1386, completamento della chiesa con la realizzazione della facciata nel 1392 ) sia dei luoghi destinati ai conversi e alle funzioni dell'utile. L'edificazione nel 1383 delle abitazioni dei fratelli-laici, di edifici rustici e di un acquedotto per alimentare la fontana del chiostro, suggella il carattere articolato dell'organismo certosino, dove padri e fratelli convivono nell'armoniosa unione spirituale e materiale. Di questo organismo il tempio è il momento di integrazione tra i luoghi dell'ascesi e quelli di servizio che si riflette nella scansione duale dello spazio interno dove una parete diaframma il coro dei padri da quello dei fratelli, ciascuno comunicante con la porzione del monastero pertinente. L'investitura celebrativa del tempio declina l'architettura verso l'eloquenza della sintassi compositiva e della figurazione. Non a caso argomenti nodali nell'ininterrotto cantiere certosino sono la posizione della chiesa rispetto all’asse centrale e la sua facies, sui quali si torna a più riprese, a partire dai primi interventi di riconnotazione della facciata, documentati al 1392.

La certosa-cantiere aperto
Nella vicenda della Certosa è fatto rilevante l'aggregazione del monastero della Gorgona, avvenuta nel 1425, quando, per l'insicurezza dei luoghi, l'isola era stata definitivamente abbandonata dai monaci. Tale annessione, pur attraverso varie vicende politiche e amministrative, è suggellata con la traslazione simbolica di san Gorgonio che viene evocato nella cappella posta nel cuore della Certosa, della quale diviene compatrono. Il riscontro di tale circostanza ha anche carattere economico e organizzativo, poiché viene a incrementare il patrimonio della comunità pisana con l'acquisizione dei possessi che dalla Gorgona si estendevano fino in Corsica. La costruzione della Certosa ha un nuovo impulso nella seconda metà del XV secolo. I lavori si concentrano principalmente nel nucleo del cenobio, riguardando il refettorio (1488-89), il chiostrino della cappella capitolare e la “chiostra di sopra”, di cui rimangono oggi soltanto poche tracce. Si procede anche all’edificazione di nuove celle, si costruisce la “lozeta del priore” (1482-83), si organizzarono gli spazi verdi degli orti e dei giardini tracciando recinti e vie d'acqua. Al centro dell'interesse è ancora la chiesa che viene ornata di marmi, di arredi e completata con una scala esterna. A questi anni risalgono i segnali dei primi cedimenti strutturali del campanile, la cui lunga e complessa vicenda costruttiva si esaurisce soltanto alla fine del XVIII secolo con l'edificazione della nuova fabbrica affiancata alla vecchia che viene demolita alla metà del XIX secolo. Le "Memorie" lasciano intendere un periodo di stasi dei lavori che riprendono intorno alla metà del XVI secolo. Le opere riguardano principalmente il nucleo degli eremiti: le “lozette” delle celle e il chiostro che viene risanato e completato con la ricostruzione di una fontana. La natura di tali interventi rivela tuttavia una tensione a restaurare piuttosto che ad arricchire il costruito con ampliamenti e ornati. Lo conferma la richiesta (1601) del priore Teofìlo Caucchi, di “reformare, restaurare, accrescere e ridurre a miglior forma e perfezione le fabbriche antiche”, ribadita da quella del Capitolo (1607) che, dichiarando la casa “imperfetta” e bisognosa di “molta riforma, restauro e aumento”, espone al Generale dell'Ordine un articolato progetto, con tali intenti che ha inizio un programma di lavori molto denso e serrato alla cui conclusione si perviene solo alla fine del secolo successivo.

Progetti e riforme tra il XVII e il XVIII secolo
II Seicento inaugura l'esteso programma di riforma del monastero con la ricostruzione di due chiostri: quello della foresteria nobile, in comune con l'appartamento del priore, e il chiostro grande, fulcro simbolico della vita dei padri. Il primo, stando alla data incisa sul coronamento del pozzo, sembra concludersi nel 1614; mentre quello dei padri, iniziato nel 1634, con la sopraelevazione del piano di fondazione delle celle, è completato soltanto nel 1682, quando si realizza la nuova fontana. Risale all’ultimo ventennio del secolo anche la costruzione del nuovo altare della chiesa (1675-1680) in marmi policromi e la ridecorazione delle pareti. Il programma segue una scansione rigorosa che, partendo dal nucleo eremitico, procede verso gli spazi del cenobio per concludersi con la sistemazione della zona dei conversi. Da questa articolata vicenda che vede in un lungo arco di tempo il susseguirsi di piccole e grandi opere, di maestranze e di artisti, la cui provenienza è varia, i compiti e le discipline specifici, emerge un' idea guida che assicura la relazione e l'unità delle opere. Se ai primi del XVIII secolo è ancora la chiesa l'argomento centrale dei lavori, focalizzati sull'allestimento della facciata (dopo vari progetti, viene iniziata tra il 1709 e il 1712 e completata solo nel 1780 con la collocazione degli ornamenti scultorei), tra il 1769 e il 1790 circa, i temi portanti della riforma del monastero sono la foresteria granducale, il cortile d'onore, i percorsi e i giardini. Nel resoconto annuale dei lavori del 1769 sono elencate le opere in corso alla “fabbrica della foresteria nobile” che comportano l'ampliamento delle sale, con la trasformazione della “galleria vecchia di quadri” e della cappellina; mentre si preannuncia il programma di quelle successive: “si rimoderneranno tutte le foresterie, le celle de’ procuratori, le tombe, il dormitorio de' frati, si faranno nuove celle sopra alla cucina e la dispensa, una nuova scala che porterà al secondo piano, cioè al detto dormitorio, si allungherà la piazza con un muro divisorio dell'orto e si farà tutto l'occorrente per ridurre tutta questa parte della Certosa dalla chiesa all’orto in miglior forma con una nuova facciata perché col tempo dai posteri a poco per volta possa farsi l'altra parte della chiesa verso la vigna in tutto simile all'esterno”. Dal 1772 al 1785 si completa il cortile d'onore con la definizione dell'ampio fronte culminante con la chiesa e l'ampliamento degli edifici a questo prospicienti. Con la costruzione della “foresteria delle donne”, degli edifici destinati alle funzioni agricole, (il “nuovo uliveto”, la “farineria”, il “capannone di vigna”), e i laboratori (l' “officina del fabbro” e la lavanderia) si vengono a ridelineare ulteriori limiti dell'area claustrale. Questi nuclei di edifici, che si estendono lungo il fronte esterno e ai lati del cortile d'onore, vengono regolarizzati e schermati da una serie di recinti e di balaustre decorati con illusionistiche architetture a “grotteschi”. Per questi si utilizzano gli “scherzi delle colline”, i “lustri”, i “cristalli di monte”, i “rottami di porcellana”, i “tuffi di mare”, i “sassi della Zambra” ... . Da un lato il recinto decorato di incrostazioni polimateriche e ornati scultorei che indirizza la visuale verso la fontana a muro dell'orto, analogamente trattata (1771-1772); dall'altro un colonnato, “sopra e sotto fatto a grottesco” (1789), diaframma gli spazi destinati allo svolgimento delle quotidiane funzioni materiali della vita monastica.

Maria Adriana Giusti e Maria Teresa Lazzarini, La Certosa di Pisa a Calci. Pisa 1995, pag.52-62
Roberto Marchetti, foto
(autorizzaizone dei Ministeri per i Beni e le Attività Culturali Soprintendenza per i Beni Architettonici Paesaggistici Storici Artistici ed Etnoantropologici per le Provincie di Pisa e Livorno con lettera n. 976 del 02 aprile 2010)